venerdì 22 settembre 2017

Usi corretti di "no" e di "non"

Sempre per la serie "la lingua biforcuta della stampa"

Da un quotidiano in rete:

Germania al voto, con chi governerà Angela Merkel? Scenari di coalizione (possibili e non)

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In buona lingua italiana (non cispadana) l'avverbio negativo "non" non può stare mai da solo, deve essere seguito, necessariamente, dal termine che "nega". Il titolo corretto, quindi, avrebbe dovuto recitare "(possibili e non possibili)" oppure "(possibili e no"), adoperando l'avverbio olofrastico.  Riproponiamo un nostro vecchio intervento sull'argomento.

Gli avverbi di negazione "no" e "non" hanno usi nettamente distinti; non si possono adoperare "ad capochiam" o ricorrendo al lancio della monetina: testa "no", croce "non". Il primo ( "no" ) appartiene alla schiera delle così dette parole olofrastiche (dal greco "hòlos", intero e "phrazo", dichiaro) le quali riassumendo in sé un’intera frase debbono essere sempre isolate e in posizione accentata; non debbono, cioè, essere seguite da altra parola: vieni o no? Risulta evidente, dall’esempio, che il "no" è olofrastico in quanto sottintende (e la riassume) la frase "o non vieni?". Il secondo avverbio ( "non" ) non si può mai trovare in posizione accentata (cioè assoluto, da solo), si deve sempre adoperare in posizione proclitica, vale a dire prima di un’altra parola che necessariamente lo deve seguire: vieni o non vieni? A questo punto vediamo - per maggiore chiarezza - che cosa significa "posizione proclitica". Si dicono "proclitiche" (dal greco "pro", davanti, prima) quelle particelle atone che si appoggiano nella pronuncia (quindi nell’accentazione) alla parola che segue. Sono proclitiche, ad esempio, tutte le particelle pronominali messe prima del verbo in quanto si pronunciano "unite" al verbo: Giovanni ’mi’ ha parlato. Non seguite, quindi, le “malelingue” della carta stampata e no che scrivono e dicono, per esempio: amici e nongli addetti ai lavori e noncantanti e nonesperti e non e simili. Tutti questi “non” sono errati e vanno sostituiti con “no” per la “legge linguistica” su menzionata.

Vediamo, anche, cosa dice l'Accademia della Crusca:

(...) L'avverbio negativo olofrastico (detto così perché, da solo, costituisce un'intera frase) in italiano è soltanto no. L'uso tradizionale richiede dunque o no in coordinate disgiuntive ridotte appunto alla sola negazione olofrastica. Gli esempi sono numerosissimi, antichi e moderni: da Dante («non disceser venti / o visibili o no» Paradiso, VIII, 22-23) al recente modulo giornalistico o no?, come «domanda dubbiosa a conclusione di un discorso apparentemente sicuro (Parigi val bene una messa! o no?)» (cfr. M. Cortelazzo - U. Cardinale, Dizionario di parole nuove 1964-1987, Torino, Loescher, 1989, p. 171). Lo stesso si dica di altri costrutti omologhi: e no (si pensi al romanzo di Vittorini Uomini e no), perché no, come no, se no oltre all'ormai raro anziché no (...)


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