venerdì 17 febbraio 2017

C'è treno e... treno


Dalla dott.ssa  Ines Desideri riceviamo e volentieri pubblichiamo

Nell’accezione più comune il treno è – come tutti sappiamo – un mezzo di trasporto pubblico, atto alla circolazione sulle ferrovie. Richiama l’immagine di una stazione, di valigie, di persone che partono, di persone che rimangono sulla banchina e agitano un fazzoletto, in segno di saluto. Forse anche di una lacrima, a fatica dissimulata, o di un sospiro. O di un lamento…

Dal latino “trahere” (tirare), attraverso il francese antico “train”, siamo giunti alla stazione ferroviaria e al treno.

O di un lamento, dicevamo, e non a caso.

È detto “treno” anche il canto funebre presso gli antichi Greci: dal greco “thrènos” (pianto, lamento, gemito), abbiamo pregevoli  esempi di “treni” nella letteratura antica.

Cito, a mo’ di esempio, il pianto di Andromaca per la morte di Ettore (Iliade):

“Ettore, oh me disgraziata! Con una sorte nascemmo

entrambi, tu a Troia nella casa di Priamo,

io in Tebe sotto il Placo selvoso,

in casa d’Eiezione, che mi nutrì piccina.

Ora tu nelle case dell’Ade, nella terra profonda

te ne vai, lasci me in dolore straziante,

vedova nella casa: e il bimbo ancor non parla

che abbiam generato tu e io, miseri. A lui

tu non sarai difesa, Ettore, perché sei morto, né lui a te. “

Per estensione sono dette “Treni” anche le lamentazioni bibliche.

Da questa accezione deriva il sostantivo “trenodìa” - formato da “thrènos” e “odé” (canto) – il cui significato riporta sia alle lamentazioni corali nei riti religiosi, sia a componimenti letterari di cordoglio, sia al più comune “piagnisteo”.

“… la gretta lamentela, la monotona, grigia, inutile trenodìa che parenti e consanguinei intonavano sommessi attorno?” ( “Il giardino dei Finzi-Contini”, G. Bassani)


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Cortese dott. Raso, leggendo un vecchio libro, trovato mentre riassettavo la soffitta , mi sono imbattuta  in questa frase: « [...] a un segnale convenuto tutti tacerono». Sono rimasta sorpresa perché ho sempre saputo che la terza persona plurale del passato remoto del verbo tacere è "tacquero". Ora leggo questo "tacerono". Ma è corretto? Non sono riuscita a trovare una risposta. Lei sa qualcosa in proposito?
Grazie in anticipo se mi risponderà.
Clara P.
Siracusa
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Gentile Clara, "tacerono" è forma corretta ma caduta in disuso. La forma dell'italiano odierno è, appunto, "tacquero". Ma come si giustifica "tacerono"? Il passato remoto dei verbi della seconda coniugazione (quelli in "-ere", per intenderci) ha delle desinenze alternative per la prima e la terza persona singolare e per la terza plurale (ei/etti; é/ette; erono/ettero). La terza persona plurale del passato remoto del verbo credere può essere, infatti, tanto "essi  crederono" quanto "essi credettero". Tacere, però, è un caso particolare essendo irregolare,  perché non segue né "-erono" né "-ettero". Nei secoli passati, invece, aveva le normali desinenze, come potrà vedere cliccando su questo collegamento.


2 commenti:

Roberto S. ha detto...

La collaborazione della dott.ssa Desideri impreziosisce il blog e auspico una sua presenza più costante.
Roberto S.(Lucca)

Ines Desideri ha detto...

Ringrazio il gentile Roberto per l'apprezzamento espresso e il dottor Raso per l'ospitalità.

Cordiali saluti
Ines Desideri