lunedì 29 febbraio 2016

Prendere un granchio

Questa locuzione, conosciutissima e adoperata a ogni piè sospinto, si usa per mettere in evidenza, con una certa "eleganza", il fatto che una persona - molto spesso - prende un grosso abbaglio, erra credendo di non... errare; oppure crede di aver fatto un grosso affare ed è stata, invece, raggirata. L'origine, crediamo,  non abbisogna di spiegazioni essendo intuitiva; la proponiamo, comunque,  per dovere d'informazione. L'espressione, dunque, deriva, con molta probabilità, dalla pesca con la canna: allorché il pescatore cala la lenza in un fondale basso  e sente che il "pescato" comincia a dimenarsi per sganciarsi ritiene di aver pescato una grossissima preda. Quando tira sú (sic!) l'amo la delusione, però, è forte: si ritrova un granchio.

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La parola, di ieri, proposta da "unaparolaalgiorno.it": specioso.

domenica 28 febbraio 2016

Madrelingua: quale plurale?

Chissà se i responsabili del settore lessicografico della Treccani si imbatteranno in questo portale  ed emenderanno il plurale di "madrelingua". Vocabolario: «Madrelìngua (anche madre lìngua) s. f. (pl. madrilìngue, o madri lìngue). – La lingua materna, cioè la lingua appresa o comunque parlata dai genitori o antenati; in genere, per chi risiede all’estero, la lingua del Paese d’origine».
 Il sostantivo suddetto in grafia univerbata nella forma plurale muta solo la desinenza del secondo elemento: madrelingua / madrelingue. Nella grafia analitica (due parole) muterà la desinenza di entrambi i sostantivi: madre lingua / madri lingue. Il peggio - come suol dirsi - non è mai morto: per il GRADIT ("minor") il sostantivo in questione è addirittura invariabile.
 

sabato 27 febbraio 2016

Essuto

E se riesumassimo essuto, l'antico participio passato del verbo essere? Si veda anche qui. Per quanto attiene al "moderno" participio passato "stato", a nostro modesto avviso siamo in presenza di un caso di suppletivismo.

venerdì 26 febbraio 2016

Inferto e inferito

Entrambi i termini sono participi passati del verbo "inferire", che ha due accezioni diverse: causare danni o ferite, sia morali sia fisiche e arrivare a una conclusione, quindi dedurre, desumere. La coniugazione è la medesima tranne che nella prima persona singolare e nella terza plurale del passato remoto e, appunto, nel participio passato. Avremo inferto, quando il verbo sta per "provocare danni" e inferito quando vale "dedurre": il malvivente gli ha inferto cinque coltellate; dalle indagini svolte la polizia ha inferito che l'uomo era estraneo ai fatti. Quanto al passato remoto avremo infersi e infersero nell'accezione di "cagionare danni" ; inferii e inferirono nel significato di "dedurre". Un'ultima annotazione. Inferire è un "quasi sinonimo" di infierire in quanto i due verbi hanno sfumature diverse; inoltre il primo è transitivo, il secondo intransitivo. Interessantissima, in proposito, l' «opinione» del Tommaseo.

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Dappresso e davanti

Il primo vocabolo si può scrivere anche in due parole: da presso. Mai con l’apostrofo (d’appresso). Il secondo, preposizione impropria, si costruisce regolarmente con la a: abito davanti a lui. Si sconsiglia l’impiego della preposizione unita direttamente al sostantivo: passavo davanti la casa; meglio davanti alla casa. La medesima “regola” vale per dinanzi e checché ne dicano certi vocabolari la "di" non è geminante, vale a dire non fa raddoppiare la "n" (*dinnanzi). L' "errore" è dovuto, probabilmente, per un accostamento analogico con “innanzi” il cui rafforzamento sintattico (raddoppiamento della “n”) è solo apparente perché la doppia “n” risulta dalla fusione di “in” e dalla locuzione latina “in antea” già contratta in “nanzi” (in + in antea = in nanzi = innanzi); dinanzi deriva, invece, dalla fusione di “di” e di “nanzi” = dinanzi).                           

giovedì 25 febbraio 2016

«La» scooter

Lucca, muore dopo 20 giorni di agonia
il pensionato ucciso dalla scooter pirata


Cosí titolava un giornale a diffusione nazionale. La stampa - ignorando le raccomandazioni della Crusca - continua "imperterrita" ad adoperare forestierismi quando ci sono termini "omologhi" italiani. Il bello, oltre tutto, è che li sbagliano anche. "Scooter", adoperato in italiano, è di "sesso" maschile. Leggiamo, infatti, nel vocabolario Treccani in rete:  «scooter skùutë› s. ingl. [der. del gergale (to) scoot «guizzare via»] (pl. scooters skùutë›), usato in ital. al masch.».

 
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La parola, di ieri, proposta da "unaparolaalgiono.it": ferale. Si clicchi anche qui.

mercoledì 24 febbraio 2016

Messa di requiem

Gentilissimo dott. Raso,
 ho dato un'occhiata al suo libro (peccato che non sia in vendita) e gli occhi mi sono caduti dove tratta dell'uso corretto della preposizione "da". Lei sostiene che si debba dire "Messa di requiem" e non "da". I testi che ho consultato sembrano, però, darle torto. A questo punto sono spiazzato: a chi debbo dare ascolto? Mi "illumini" meglio, la prego. Restando in attesa di un suo cortese riscontro, la saluto cordialmente.
Mario T.
 Rovereto (Trento)

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Cortese Mario, non si tratta di dare ascolto a qualcuno, si tratta di osservare le norme grammaticali che regolano la nostra lingua. E una di queste norme stabilisce che si deve usare la preposizione "di", non "da", quando si parla di una determinata "qualità" di una cosa. Mi sembra inverosimile che i suoi testi  non facciano menzione di questa "regola". Comunque, gentile amico, al di là di ogni polemica linguistica, fa fede Giuseppe Verdi che ha composto la "Messa di requiem".

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La parola proposta è: dimergolare. Verbo relegato in soffitta, vale "barcollare" e simili. Si veda qui e qui.

martedì 23 febbraio 2016

Il "configlio" e l' "anedottica"

Un interessante articolo del prof. Michele Cortelazzo, dell'Università di Padova e accademico della Crusca, peccato che sia vanificato da una "anedottica" in luogo di aneddotica. Termine ritenuto errato dallo stesso correttore di Virgilio (Sapere.it).


Parole
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Risultati per: anedottica

anedottica: aneddotica

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Lunedí 29 febbraio. Forse il prof. Cortelazzo si è imbattuto in questo sito: l' "orrore" è stato emendato.

lunedì 22 febbraio 2016

Errori "opinionistici"

Ci dispiace dover censurare, di tanto in tanto, la lingua degli operatori dell’informazione, quelli della carta stampata particolarmente, anche se molti di questi posseggono una laurea in lettere e si piccano di fare la lingua; non è sufficiente una laurea in materie letterarie per potersi fregiare del titolo di linguista.
Non possiamo, dunque, rimanere impassibili davanti a orrori ortografici di cui è infarcita la stampa e gli opinionisti non possono più addebitare gli errori ortografici alla svista dei correttori di bozze, categoria ormai estinta. Vediamo, dunque, sfogliando a caso qualche quotidiano, alcune indecenze ortografiche, in corsivo gli orrori.

L’arrestato, per farsi compatire, camminava a  d’ubriaco; con quel pò pò di alterigia era naturale che tutti lo snobbassero; nella casa degli orrori è comparsa la scritta villa d’affittare; in quella notte tranquilla gl’astri brillavano sullo sfondo azzurro; nessun’ uomo, di questi tempi, può sentirsi tranquillo se abita una villa isolata; qual’è il difetto peggiore, domandò all’intervistata; il suo comportamento è veramente d’ammirare; gl’umori degli astanti non lasciavano presagire nulla di buono; il suo modo di fare è pressocché inaccettabile; il ragazzo è uscito dal coma grazie all’attente cure della mamma; sei proprio un bel angelo, disse la mamma al figlioletto; fate attenzione, recitava un cartello affisso nella fabbrica, gl’acidi sono nocivi alla salute; l’auto dei banditi non ha rispettato l’alt della polizia e ha accellerato la corsa; l’uomo è stato investito sulle striscie pedonali; il ministro ha, però, ribadito che non tutti beneficieranno delle agevolazioni.

Potremmo continuare, ma non vogliamo tediarvi oltre misura.


 
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 Sanguinario e sanguinoso

Si presti attenzione ai due termini: il primo può essere tanto sostantivo quanto aggettivo (quell’uomo è un sanguinario; un pazzo sanguinario); il secondo è solo aggettivo (una ferita sanguinosa). Vediamo la composizione e il significato intrinseco delle due parole. Sanguinario, dunque, significa che è portato a uccidere e ce lo dice il suffisso "-ario" atto a indicare un mestiere, una professione, un’attività (impresa / impresario; banca / bancario; sangue... sanguinario). Sanguinoso, invece, con il suffisso "-oso" che indica la presenza di una certa qualità o condizione, sta per sporco di sangue.

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La parola che proponiamo oggi è insonte. Sebbene sia relegata in soffitta la segnaliamo perché dal "sapore" aulico. È un aggettivo e vale "innocuo", "che non fa male", "che non nuoce", "che non danneggia".

 

 

 

sabato 20 febbraio 2016

Gli aggettivi non sempre sono "utili"

Molto spesso, e probabilmente senza accorgercene, nei nostri scritti adoperiamo aggettivi "inutili" che appesantiscono la scorrevolezza  concorrendo alla formazione della cosí detta tautologia. Riportiamo, in proposito, un divertente passo del linguista Luciano Satta. «Evitare l'aggettivo inutile, l'aggettivo ridondante, l'aggettivo "tautologico" (...). E siccome gli aggettivi in genere non devono mai essere troppi, ecco una bella occasione per risparmiare. Facciamo un esempio molto semplice: non si deve dire "cerchio rotondo" perché "rotondo" in questo caso è di troppo. Sembra una sciocchezza, ma tutti ci caschiamo, sia scrivendo aggettivi inutili, sia non accorgendoci, nella lettura, di quelli che gli altri scrivono. Se leggete "fra i due c'è una grande 'collaborazione reciproca' " e riflettete un poco, notate subito che di quel 'reciproca' si può fare benissimo a meno, anzi si deve fare a meno, perché una collaborazione fra due persone è sempre reciproca, altrimenti che collaborazione sarebbe? Cosí, dire che un uomo è stato condannato secondo le 'vigenti leggi' vuol dire sprecare una parola, essendo poco probabile che uno venga condannato per una legge che non è piú in vigore; e ancor piú pesante è la ridondanza quando si parla, come spesso si fa, di un uomo condannato secondo le 'leggi attualmente vigenti'. Altrettanto inutile è dire che per esaminare una certa faccenda, per fare una certa indagine è stata creata un' 'apposita commissione':  se la commissione è stata creata per quella certa faccenda o indagine, è per forza apposita.  Si può fare a meno, inoltre, dell'aggettivo 'futuro'  in frasi come queste, che sentiamo spesso alla radio e alla televisione o leggiamo sui giornali quando viene intervistato qualcuno: "Quali sono i suoi 'progetti futuri'?"; "Mi parli del suo 'programma futuro' ". Un progetto, un programma  sono sempre futuri, in questi casi. Si sa che ci possono essere programmi e progetti per un 'futuro lontano' per un 'futuro immediato', e allora quando ci sono precisazioni simili tutto va bene». Cortesi amici, aguzzate la vista quando leggete i giornali, e gli orecchi quando ascoltate un servizio radiotelevisivo, avendo a portata di mano una calcolatrice per... calcolare gli aggettivi adoperati inutilmente.

venerdì 19 febbraio 2016

Tielismo o tialismo

La parola proposta oggi è: tielismo. Sostantivo con il quale si indica un'eccessiva salivazione. Si veda anche qui e qui.

giovedì 18 febbraio 2016

Generone


Interessante la parola proposta, ieri, da "unaparolaalgiorno.it": generone.

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Comma e capoverso – i due termini non sono sinonimi, come erroneamente si crede. E i vocabolari non aiutano. La spiegazione più chiara viene dal vocabolario della Treccani che riportiamo fedelmente. Alla voce comma leggiamo: “Ognuna delle suddivisioni di un articolo di legge, rappresentata tipograficamente da un accapo, in modo che il primo comma corrisponde al ‘principio’, il secondo comma al ‘primo capoverso’ e così via”. Al lemma capoverso si legge: “Nelle citazioni di leggi, regolamenti, contratti ecc. si chiamano primo, secondo, terzo capoverso e così via le suddivisioni dell’articolo corrispondenti rispettivamente al secondo, terzo, quarto comma, spettando al primo comma il nome di principio.

mercoledì 17 febbraio 2016

Considerazioni "verbali"

Considerazioni sull'uso non ortodosso - a nostro modo di vedere - di alcuni verbi, cosí, come ci vengono alla mente. Chiamare: è spesso adoperato, soprattutto nel linguaggio sportivo, nel significato di "chiedere" , "richiedere" (l'attaccante ha chiamato la palla al compagno).  Dimissionare: verbo da evitare, tanto nella forma attiva quanto in quella riflessiva (i vertici aziendali hanno dimissionato il capufficio; il sindaco si è dimissionato). In questi casi i verbi da adoperare correttamente - sempre a nostro modo di vedere -  sono: licenziare, congedare, deporre ecc.  Dirottare (propriamente "cambiare rotta"): oggi è invalso l'uso di riferirlo a persone (l'impiegato addetto è stato dirottato in un altro ufficio).  Formare: spesse volte è adoperato in luogo di "rappresentare", "essere", "costituire" e simili (la famiglia forma la mia ragione di esistere). Identificare: propriamente vale vedere se due o piú persone o cose sono identiche, uguali. Oggi si adopera sempre piú spesso con l'accezione di "accertare", "ravvisare", "riconoscere" e simili (dopo l'incidente il corpo del ragazzo è stato identificato dai genitori).     

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La parola proposta e non attestata nei vocabolari dell'uso: pessundare.  Verbo polisemico, vale "ingiuriare" e "calpestare". 
 
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Anche l'Accademia della Crusca può incorrere in errore, sia pure veniale:
Il signor Daniel B. ha chiesto all'Accademia un'interpretazione della forma salvo considerata "in tutte le sue possibili accezioni", indipendentemente dal genere (salva/salvo) e dal fatto che introduca o meno una proposizione esplicita (salvo che, salvo che non...): quando ha valore di "eccetto che" e quando quello di "fermo restando che"? 
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Dov'è l'errore? Vi domanderete. È presto detto: nell'uso errato dell'avverbio "meno" nel significato di "no". La cosa è ancora piú "stupefacente" perché Luca Serianni, esponente della stessa Accademia, scrive: «In luogo di o no si adopera anche o meno (“ecco due cose le quali non so se mi garbassero o meno” Nievo), locuzione molto diffusa ma da evitare almeno nello scritto e nel parlato piú formale». Anche Aldo Gabrielli, nel suo "Dizionario Linguistico Moderno", scrive: « [meno] (…) non deve mai usarsi in proposizioni disgiuntive col significato di ‘no’: “Non so se partire o meno”; “Dimmi se verrai o meno alla conferenza”; dirai: “Non so se partire o no (oppur no)”; “Dimmi se verrai o no (o non verrai) alla conferenza” (…)».

 
 
 
 

martedì 16 febbraio 2016

Brainstorming: possiamo dirlo in italiano?

Alla domanda del titolo risponde la Crusca. Da parte nostra ribadiamo la ferma contrarietà all'uso dei barbarismi. Se un termine non ha un suo "omologo" italiano o non è traducibile nella lingua di Dante si ricorra a una perifrasi.

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La competenza linguistica

Forse alcuni si imbatteranno per la prima volta in questo termine perché non è trattato in tutti i testi di lingua. Per parlare e scrivere secondo i "canoni linguistici" è necessario, ovviamente, farsi capire costruendo frasi, però, in modo appropriato, a seconda dell'argomento, della situazione (in cui ci troviamo) e del "ruolo" delle persone alle quali indirizziamo i nostri scritti e i nostri discorsi. Queste tre "qualità" fanno parte della competenza linguistica. Per approfondimenti si clicchi qui.

lunedì 15 febbraio 2016

Il troppo "ammenne" guasta la messa

Questo modo di dire di origine proverbiale - oggi relegato nella soffitta della lingua -  non avrebbe bisogno di spiegazioni, il significato è, infatti, insito nelle stesse parole:  i troppi "amen" ripetuti, soprattutto nelle messe cantate, "rovinano" la messa stessa. L'espressione -  adoperata in senso  figurato, naturalmente - si riferisce alle persone che ripetono, nei loro discorsi, sempre le stesse cose e, quindi, li "rovinano";  cosí come i troppi amen "guastano" la messa - come faceva rilevare il popolo - 'rompendo' gli orecchi (soprattutto nelle messe cantate) e distogliendo, in tal modo, l'attenzione dei fedeli dal sacro rito.

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La parola proposta da questo portale e non attestata nei vocabolari dell'uso: pacchinare. Il verbo indica i colpetti che si danno sul capo con tutte le dita distese.

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Cofondatore o confondatore?

Di gran lunga preferibile confondatore, come fa notare il DOP, perché il prefisso con- perde la "n" solo davanti a parole che cominciano con una vocale: coinquilino, coautore, coetaneo ecc.

sabato 13 febbraio 2016

La dessiografia

La parola proposta da questo portale: dessiografia. È la scrittura che va da sinistra verso destra.
E quella segnalata, ieri, da "unaparolaalgiorno.it": badare.


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Il cammello evangelico

Forse non tutti sanno che quanto si legge nel Vangelo di San Matteo «È più facile che un cammello passi dalla cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei Cieli», il cammello non c’entra nulla. In realtà San Gerolamo, che tradusse dal greco al latino il testo, interpretò il termine kamelos  come cammello, mentre l'esatto significato è grossa fune utilizzata per l'attracco delle navi. Il senso della frase resta ugualmente lo stesso, ma acquista molta più consistenza.

venerdì 12 febbraio 2016

Fragranza e... flagranza

Abbiamo notato, e con stupore, che molti operatori dell'informazione credono che i sostantivi "fragranza" e "flagranza" siano l'uno sinonimo dell'altro. Li adoperano, quindi, indifferentemente. No, i due termini hanno significati totalmente diversi. Diamo la "parola" al vocabolario Treccani in rete:

 

fragranza s. f. [dal lat. fragrantia, der. di fragrans -antis «fragrante»]. – Odore intenso, gradevole e delicato: la f. delle zagare; la f. del pane appena cotto; una f. intorno Sentìa qual d’aura de’ beati Elisi (Foscolo).

 

flagranza s. f. [dal lat. flagrantia; v. flagrante]. – Nel linguaggio giur., condizione di un reato che viene constatato nel momento stesso in cui viene commesso; stato di f., quello in cui si trova l’autore di un reato quando è sorpreso nell’atto stesso di commetterlo, ovvero quando, immediatamente dopo il reato, è inseguito dalla forza pubblica, dall’offeso dal reato o da altre persone, ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso poco prima il reato.

giovedì 11 febbraio 2016

Passare il quarto d'ora di Rabelais


Vi è mai capitato, cortesi lettori, di provare sulla vostra "pelle" il quarto d'ora di Rabelais? Di trovarvi, cioè, in un momento difficile, in una situazione critica? In particolare, gentili amici, di dover pagare senza avere i soldi o di dover rendere conto di qualcosa senza averne i mezzi? P. M. Quitard cosí spiega questo modo di dire: si racconta che Rabelais si trovava a Lione e non aveva i soldi per pagare la stanza presso la quale aveva preso alloggio. Aguzzato l'ingegno, dispone sul tavolo, in bella mostra, alcuni pacchetti con sopra scritto: "polvere per il re", "polvere per la regina", "polvere per il delfino". L'oste, credendo di trovarsi di fronte a un avvelenatore, non ci pensò due volte e lo denunciò. Il curato di Meudon (Rabelais) fu immediatamente arrestato e condotto, sotto buona scorta, a Parigi. Dopo tante peripezie fu ammesso al cospetto del re Francesco I. Questi, che ben conosceva l'indole "mattoide" del suo suddito, comprese tutto, ringraziò i gendarmi di Lione per avere svolto in modo encomiabile il loro dovere e invitò a pranzo... l'avvelenatore.

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Purchessia, anche purcheffosse, sebbene quest'ultimo aggettivo non sia attestato nei vocabolari dell'uso. È "immortalato" nel DOP.

mercoledì 10 febbraio 2016

La battologia

La parola proposta ieri da "unaparolaalgiorno.it", la battologia, è stata trattata anche da questo portale. La riproponiamo come integrazione a quella segnalata dal sito summenzionato.



martedì 9 febbraio 2016

La topofobia e la muridofobia

Gentilissimo dott. Raso,
 è la prima volta che le scrivo sebbene la segua  da "illo tempore"; il suo sito, infatti, l'ho messo tra i preferiti ed è il primo in assoluto. Le scrivo perché ho urgente necessità di sapere se esiste un termine atto a indicare la paura dei topi. I vocabolari consultati - se ho saputo "spulciarli - non ne fanno menzione. Ho pensato a "topofobia". Esiste questo termine? Si può adoperare per indicare, appunto, la paura dei topi? Ho scaricato il suo libro: definirlo prezioso è riduttivo. In attesa di un suo cortese riscontro la saluto cordialmente.
Ernesto M.
Pisa

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Caro Ernesto, il termine da lei proposto, "topofobia", esiste, anche se non attestato in tutti i vocabolari dell'uso. Non significa, però, "paura dei topi", ma "paura di determinati ambienti o luoghi". Il vocabolo è composto con le voci greche "topos" (luogo) e "phobos" (timore, paura). Il suo opposto è "topofilia" (attaccamento, amore per un luogo). La "muridofobia", invece,  indica la paura dei ratti. Veda qui.

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Finalmente! La Crusca boccia i termini tecnici inglesi. Forse potremo fare a meno di avere a portata di mano un vocabolario inglese-italiano quando, seduti in poltrona, leggiamo un giornale "italiano".

lunedì 8 febbraio 2016

"Confessare il cacio"...

... cioè dire la verità. Ecco un altro modo di dire non piú "di moda" e relegato, quindi, nella soffitta della lingua. L'origine dell'espressione non è molto chiara, sembra sia tratta da una novella che narra di alcuni fanciulli che avevano rubato il cacio, ma non volevano ammetterlo, alla fine, però, "sotto pressione",  per paura di essere puniti se avessero continuato a mentire, "confessarono il cacio", cioè dissero la verità. Benedetto Varchi, nel suo "Ercolano", spiega: «Di coloro i quali (come si dice) confessano il cacio, cioè dicono tutto quanto quello che hanno detto e fatto a chi ne gli domanda, o nel potere della giustizia, o altrove che siano, s'usano questi verbi, eccetera».  Secondo un altro autore, Ludovico Passarini, il modo di dire potrebbe derivare dal fatto che "alle putte, o gazze, o cecche si dà da mangiare il cacio perché si crede che le faccia cinguettar meglio, rendendo piú agile la loro linguetta e piú atta a ripetere l'umana parola. D'onde potrebbe inferirsi che 'confessare il cacio', detto di chi confessa il vero, sia modo tratto ironicamente da esse putte, quasi  dicesse [...] 'gli è venuta la parlantina'; 'confessa con ciò di aver mangiato il cacio'; e quindi piú semplicemente 'confessare il cacio' per dire la verità".

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Cotto e cociuto –  entrambi i termini sono participi passati del verbo cuocere. Il primo si adopera in senso proprio: il risotto è cotto; il secondo si usa in senso figurato con l’accezione di indispettito e simili: la tua osservazione mi è cociuta ( mi ha indispettito).

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La parola, di ieri, proposta da "unaparolaalgiorno.it": smunto.

domenica 7 febbraio 2016

La bolletta "elettrica"

La RAI, da mesi , ci "martella" ricordandoci che da quest'anno il canone si paga con la "bolletta elettrica". La notizia ci ha spaventato e ci spaventa: come facciamo a toccare la bolletta se è "elettrica"? Elettrico, stando ai vocabolari -  il DISC, per esempio - significa: « Relativo all'elettricità; che produce elettricità o è da essa prodotto o che funziona grazie all'elettricità: centrale e.» La bolletta produce elettricità? Funziona con l'elettricità? A nostro modo di vedere si deve dire, correttamente,  "bolletta dell'energia elettrica" o "bolletta della luce". Cosí come si dice "bolletta del gas" e non "bolletta gasata o gassata". Naturalmente qualche linguista cosí detto progressista ci censurerà; se ciò accadrà, la cosa ci lascerà nella piú "squallida indifferenza".

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Gentilissimo dr Raso,
 ho scaricato il suo libro, messo gentilmente in libera lettura dall'editore, e ho scoperto veramente un tesoro da custodire gelosamente. Peccato che non sia in vendita. I libri interessanti vanno "assaporati" e toccati. Come posso fare per reperire una copia cartacea del suo preziosissimo lavoro? Credo sia interessante e prezioso anche l'altro, "Giornalismo. Errori e Orrori". Purtroppo non sono riuscito a reperirlo nelle librerie. Può indicarmi dove trovarlo? Inutile dirle che seguo sempre le sue "noterelle" dalle quali apprendo cose che - come dice lei - non sono riportate nei "sacri testi". Un grazie di cuore e un cordiale saluto.
 Edoardo S.
Belluno

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Cortese amico, la ringrazio per le sue belle parole. Per quanto attiene al libro "Un tesoro di lingua" provi a chiedere all' «Associazione nazionale cittadino e viaggiatore»:  50125 Firenze - Via San Niccolò, 21. Tel. 055 246 93 43 / 328 81 69 174
Per l'altro, "Giornalismo. Errori e Orrori", si rivolga direttamente all'editore:  "Gangemi editore", Roma - Piazza San Pantaleo, 4
Tel. 06.6872774 (9 linee r.a.) Fax 06.68806189;

Via Giulia, 142, 00186 Roma
Telefono: 06 687 2774

sabato 6 febbraio 2016

Fuori: "di" o "da"?

Sulla preposizione (semplice o articolata) che deve seguire la preposizione impropria  "fuori" i vocabolari non sono tutti concordi e i linguisti si accapigliano: "di" o "da"? "Fuori di" o "fuori da"? Ci vediamo fuori del portone o fuori dal portone? Personalmente seguiamo - senza se e senza ma, espressione tanto cara ai politici che frequentano i vari salotti televisivi - le indicazioni dell'illustre glottologo Aldo Gabrielli, la cui "fede linguistica" non può esser messa in discussione: «Fuori si unisce al suo termine soltanto con la preposizione "di": fuori di casa, fuori dei piedi, fuori dell'uscio e simili. Mai con la preposizione "da", anche se non manca qualche esempio antico; perciò non diremo "fuori da sé", "fuori da casa", "fuori dai piedi"». Gli fa eco il linguista Vincenzo Ceppellini, che nel suo "Dizionario Grammaticale"  scrive: «Preposizione che indica distanza o esclusione. È seguita dalla preposizione "di":  "Son rimasto fuori di casa"; "È uscito fuori di strada" (sebbene si trovi talora: fuori strada)». Come dicevamo, alcuni vocabolari ammettono solo la preposizione "dI";  altri, salomonicamente, consentono tanto la preposizione "di" quanto la preposizione "da". Che fare? Seguite ciò che vi suggerisce il vostro "istinto linguistico". La Crusca sembra essere dalla nostra parte.

venerdì 5 febbraio 2016

Arancina o arancino?

Sul "sesso" della gustosa specialità siciliana (arancina o arancino) il "verdetto" dell'Accademia della Crusca.

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La parola che segnaliamo, non attestata in tutti (?) i vocabolari dell'uso, è: azzuolo. Aggettivo che sta per azzurro.

giovedì 4 febbraio 2016

Affibbiare


La parola (di ieri) proposta da "unaparolaalgiorno.it: affibbiare. Si veda anche qui.
E quella, sebbene relegata nella soffitta della lingua, proposta da questo portale: intamato. Aggettivo che vale consumato in parte, guasto e simili.

mercoledì 3 febbraio 2016

Un tesoro di lingua



La rivista dell' «Associazione Nazionale 'Nuove Direzioni' Cittadino e Viaggiatore» ha raccolto in un volume e pubblicato le nostre noterelle sulla lingua italiana. Il libro, non in vendita, è allegato alla rivista n. 33. Chi è interessato può, comunque, leggerlo e scaricarlo cliccando qui.

martedì 2 febbraio 2016

Mettere la pulce nell'orecchio e tenere bordone

Il cavalier De Rossi era molto geloso della moglie e questo suo "difetto" era arrivato agli orecchi dei colleghi d'ufficio, che non perdevano occasione per rendergli la vita difficile. Un giorno, un collega piú "esuberante" decise che era giunto il momento di " mettere alla prova" il De Rossi. D'accordo con altri colleghi che gli tenevano bordone telefonò al collega "geloso" e, camuffando la voce, lo invitò a controllare le "strane" uscite della moglie. Da quel giorno la vita del De Rossi fu un inferno: trascorreva le notti insonne, la "pulce" gli "ronzava" sempre nell'orecchio. I colleghi se ne accorsero e, presi dal "rimorso" cercarono di tranquillizzarlo dicendogli che la telefonata era stata uno scherzo di pessimo gusto. Ma la "pulce", ormai, era "penetrata" negli orecchi di quel disgraziato. "Tenere bordone" e "mettere la pulce nell'orecchio" sono modi di dire propri della nostra lingua anche se, per la verità, il secondo è un calco di un'espressione francese. Quanti conoscono l'origine di questi idiomatismi? Vediamo di scoprirla insieme. Si adopera l'espressione "tenere bordone" quando si vuole assecondare qualcuno in un'impresa o in una discussione, soprattutto "contro" chi è impegnato in un lavoro o in un'attività su cui è implicito un giudizio poco lusinghiero.  La locuzione è un prestito del linguaggio musicale: bordone è il nome di una canna di cornamusa (e degli strumenti a fiato, in genere) che emette un solo suono e fa da sostegno, da "accompagnamento" alla melodia eseguita dalle altre canne. Colui che tiene bordone, quindi, in senso figurato, "accompagna" un altro in una discussione e simili. Mettere (o avere) la pulce nell'orecchio, invece, cioè insinuare dubbi, sospetti e simili, ricalca l'espressione francese "mettre la puce à l'oreille". Questo modo di dire era "di moda" in Francia nel secolo XIII ed era riferito a colui (o colei) che era tormentato da una smania amorosa tanto da non riuscire a dormire, quasi avesse una pulce che gli "ronzava" negli orecchi.

lunedì 1 febbraio 2016

Il plurale di «guardaparco»? Guardaparchi


Leggiamo sul quotidiano la Repubblica in rete un titolo che ci ha lasciato di stucco:


"I guardiaparco"? Come può un giornale "che fa opinione" pubblicare simili strafalcioni? Forse è il caso di "ricordare" ai redattori titolisti del quotidiano che il termine corretto è guardaparco (senza la "i) il cui plurale è guardaparchi. Per quale motivo? Perché i nomi composti di una voce verbale (guardare) e di un sostantivo singolare maschile (parco) si pluralizzano regolarmente: il guardaparco, i guardaparchi. Sarebbe bastato che avessero consultato un qualsivoglia vocabolario della lingua italiana... Il Treccani, per esempio: guardaparco s. m. e f. [comp. di guarda- e parco2](pl. m. -chi). – Guardiano addetto alla sorveglianza di un parco nazionale.

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Il giornale ha prontamente emendato l' "orrore".