giovedì 31 dicembre 2015

Portare la lettera (o la missiva) di Bellerofonte

Qualche lettore avrà sperimentato sulla propria pelle - con molta probabilità - il modo di dire sopra citato. L'espressione si riferisce, infatti, a colui che è latore di una missiva contenente notizie spiacevoli per sé stesso. La locuzione è tratta dalla mitologia greca. L'eroe corinzio Bellerofonte, durante il dorato esilio a Tirinto presso il re Preto, respinse con decisione le profferte d'amore della consorte del  re. La regina, offesa e infuriata, lo accusò, allora, di avere tentato, con ogni mezzo, di sedurla. Il re, per tanto, meditò di vendicarsi dell'affronto inviando il giovanotto presso il suocero Iobate con l'importante incarico di recargli un messaggio. La lettera, sigillata - ovviamente - conteneva la richiesta di condannare a morte chi l'avesse recapitata. Iobate, però, prima di esaudire il volere del genero, volle sottoporre Bellerofonte a prove difficilissime;  prove che il giovane superò brillantemente. Il sovrano, incredulo e pieno d'ammirazione per quell'eroe, invece di metterlo a morte, come avrebbe desiderato il  genero re Preto, lo colmò di doni e gli dette in sposa la sua secondogenita.

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Altro giro... altra "perla" del "correttore" di "Virgilio.it":

Parole
Correttore ortografico

 

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Risultati per: ovverossia

ovverossia: Parola Corretta 

La corretta, ovviamente, è con una sola "s" (ovverosia). Il vocabolo in questione è composto con le congiunzioni "ovvero", che non produce geminazione, e "sia".

Ancora. 
Parole
Correttore ortografico



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Risultati per: fin'ora

fin'ora: Parola Corretta 

La parola corretta è senza apostrofo: finora.

mercoledì 30 dicembre 2015

La camicia non tocca il culo

«Guarda, Antonio, è arrivato Giovanni; è talmente contento per il "salto" sociale che la camicia non gli tocca il culo». Questo modo di dire contiene una punta di volgarità della quale ci scusiamo con i nostri lettori; ma tant'è. L'espressione su detta - probabilmente sconosciuta ai piú - si adopera allorché si vuole mettere in evidenza la contentezza di una persona per il successo ottenuto (come nel caso di Giovanni), quindi mette in superbia e cammina pettoruta e fiera. La locuzione, "immortalata" negli scritti del Boccaccio e in quelli dei novellieri del Rinascimento, deriva - probabilmente - dal modo di camminare di una persona che per via della gioia o della soddisfazione si muove impettita, come se fosse aumentata di altezza tanto che... «la camicia non le tocca il culo».

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Un gentile blogghista si domanda e ci domanda se il verbo "sgamare" è di uso prettamente regionale e da dove proviene. Per la risposta diamo la parola al Treccani e a questo libro.

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Ancora sul "correttore" di "Virgilio.it":
Scrivi una o più parole. Risultati per: quisquiglia quisquiglia: Parola Corretta.

La parola graficamente corretta è, naturalmente, quisquilia.

martedì 29 dicembre 2015

L'orecchio, la musica e la grammatica


I nostri fedeli lettori ci perdoneranno se riproponiamo, ancora una volta, un nostro modesto intervento su alcune "questioncelle" orto-sintattico-grammaticali. Insistiamo perché abbiamo notato, con un pizzico di rammarico, che le nostre noterelle non hanno sortito l'effetto sperato. L'«anarchia linguistica» continua...

Vi sono persone, soprattutto tra le così dette grandi firme della carta stampata e no, che non ritengono necessario l’approfondimento (o lo studio) della grammatica della lingua italiana in quanto sono convinte di conoscerla bene per il semplice motivo che parlano e scrivono la lingua madre – come suol dirsi – per pratica. Esse fanno loro il detto popolare secondo il quale la pratica uccide la grammatica; al più, di fronte a perplessità ortografiche, ricorrono all’aiuto dell’orecchio, preziosissimo per comporre allegri motivetti con la chitarra o il pianoforte.
A costoro riteniamo utile ricordare quanto scrisse in proposito il poeta Giuseppe Giusti: «L’avere la lingua familiare sulle labbra non basta: senza accompagnare, senza rettificarne l’uso con lo studio e con la ragione è come uno strumento che si è trovato in casa e che non si sa maneggiare». Mai parole furono più sante.
Chi sa quante volte, infatti, a ognuno di noi sarà capitato, nel buttar giù le classiche quattro righe a un amico, di essere assalito da dubbi sull’esatta grafia delle parole e sulla loro giusta collocazione nel contesto della frase o del periodo. Vogliamo fare un esempio? Sognamo o sogniamo? Con o senza la i? Beneficerò o beneficierò? In casi del genere non c’è musica sacra o profana che faccia alla bisogna: l’orecchio non ci viene minimamente in aiuto. Allora, immobili, con la penna in mano (ora davanti al computiere*), presi dall’amletico dubbio malediciamo il giorno in cui buttammo (con presunzione) alle ortiche il vecchio e prezioso libro di grammatica…
Vediamo, quindi, di sciogliere, nell’ordine, questi dubbi; prima, però, a proposito di orecchio, sarà bene ricordare che ha due plurali, uno maschile e uno femminile e non sono interscambiabili non si adoperano, cioè, indifferentemente. Si usa il maschile per indicare l’organo dell’udito (mi fanno male gli orecchi); si adopera il femminile, invece, in senso figurato (le orecchie del libro).
Sognamo o sogniamo, dunque? Sogniamo (con la i), anche se, a suo tempo, imparammo che tra il digramma (unione di due lettere formanti un unico suono) gn e le vocali a, e, o, u non si inserisce la i: quindi scriveremo sogno, regno, ognuno, eccetera. La i di sogniamo è obbligatoria e si giustifica con il fatto che è parte integrante della desinenza -iamo della prima persona plurale del presente indicativo, del presente congiuntivo e dell’imperativo.
Tutti i verbi in -gnare, dunque, ma anche quelli in -gnere e in -gnire (disegnare, insegnare, spegnere, grugnire ecc.) conservano la i ogni qualvolta detta vocale faccia parte della desinenza.
Beneficerò, senza la i. I verbi in -ciare (come quelli in -giare) perdono la i che pure è parte integrante del tema (o radice) davanti alle desinenze che cominciano con le vocali e o i. In questi casi, infatti, la i non è più necessaria per mantenere il suono palatale alla consonante c (o g). Scriveremo, dunque, beneficeremo, mangeremo, comincerei. Solita eccezione, effigiare: conserva la i in tutta la sua coniugazione.
Qualche osservazione ancora, visto che trattiamo un tema prettamente grammaticale, sui sostantivi composti con il prefisso con- (assieme). Contrariamente a quanto ci hanno abituato le grandi firme (e ci piacerebbe sapere chi stabilisce la grandezza) che si piccano di fare la lingua, il suddetto prefisso si unisce direttamente al nome.
Occorre solo ricordare che la n cade davanti a parole che cominciano con vocale: coabitazione (non co-abitazione come, dicevamo, sono solite scrivere le grandi firme del giornalismo), mentre si trasforma in m davanti ai sostantivi che cominciano con le consonanti labiali p e b: combelligerante, comprimario; si assimila, invece, davanti a m, l, r (l’assimilazione è un particolare processo linguistico per cui nell’incontro di due consonanti la prima diventa uguale alla seconda) e avremo, quindi, collaboratore, corresponsabile, commilitone e via dicendo.
A proposito, alcuni vocabolari ammettono la voce coproduzione e il suo composto (coproduttore). Non c’è alcun motivo che giustifichi la caduta della n del prefisso con-. La voce corretta è e resta comproduzione.
Lo stesso discorso per quanto riguarda comprotagonista, voce più corretta di coprotagonista. Nessuno si sogna di dire coprimario in luogo di comprimario. Perché, dunque, quell’orribile coprotagonista?
Per concludere: in lingua italiana il prefisso co- non esiste. Anche se, purtroppo...

* Computiere


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Ancora una "perla" del correttore di "Virgilio.it"
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Risultati per: areazione

areazione: Parola Corretta

La grafia corretta -  superfluo ricordarlo? - è aerazione.

lunedì 28 dicembre 2015

Le sedie stercorarie

Riproponiamo un nostro vecchio intervento sulle sedie papali.
              Si veda anche qui.

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Oltre al "correttore" di "Virgilio.it" si presti attenzione anche al "coniugatore". Guardate come coniuga il presente indicativo del verbo trasalire:
 
Forma: Attiva
Ausiliare: Avere
Tempo
Coniugazione
 
 
INDICATIVO PRESENTE
io trasalo
noi trasaliamo
tu trasali
voi trasalite
egli trasale
essi trasalono

domenica 27 dicembre 2015

Avere il tabacco del nonno

Ecco un modo di dire, probabilmente desueto e poco conosciuto, ma sempre "attuale", purtroppo. Perché "purtroppo"? Perché hanno il tabacco del nonno coloro che perdono il lavoro, che vengono licenziati - per un qualsivoglia motivo - e restano a casa, messi "da parte" come gli anziani di un tempo che trascorrevano le giornate a fiutar tabacco.

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Non si prenda come oro colato il correttore ortografico di "Virgilio.it". Classifica corrette, per esempio, tre parole palesemente errate:

Correttore ortografico Scrivi una o più parole Risultati per: colluttorio colluttorio: Parola Corretta

Correttore ortografico Scrivi una o più parole Risultati per: scorazzare scorazzare: Parola Corretta

Correttore ortografico Scrivi una o più parole Risultati per: ossequiente ossequiente: Parola Corretta

sabato 26 dicembre 2015

Le risposte di Babbo Natale

Babbo Natale risponde ai bimbi (ma anche ai grandi).

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Il Natale è trascorso, ma siete sempre in tempo per un bel regalo: 

Risultati immagini per congiuntivo

                                  Ecco come usarlo

venerdì 25 dicembre 2015

Buon Natale


Un sereno Natale a tutti gli amici che seguono le nostre noterelle

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Tutto su Babbo Natale

mercoledì 23 dicembre 2015

Che callistenico!



La parola del 21 scorso proposta da "unaparolaalgiorno.it": callistenico.

martedì 22 dicembre 2015

Tenere il sacco

Il modo di dire che avete appena letto ha perso il significato originario che valeva "aiutare chi ruba" per acquisire - sempre in senso figurato - quello di "essere complice di qualcosa di poco pulito" e in quest'accezione si adopera anche l'espressione "tenere mano". Ma vediamo l'origine della locuzione "primitiva" secondo le solite note linguistiche al "Malmantile racquistato": «Tenere il sacco; tenere di mano, aiutare qualcuno a commettere un delitto, abbiamo un proverbio che dice: tanto ne va a chi ruba, tanto a chi tiene il sacco e viene da quei ladri che s'accordano a rubare le biade, quando sono esposte sull'aia; poiché per far presto, uno di loro tiene il sacco, e l'altro ve le pone dentro».

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A proposito del plurale delle parole che finiscono in "-gia", la nota d'uso di "Sapere.it" (De Agostini) recita: «La regola tradizionale per formare il plurale di parole che finiscono con -gia dice che se la finale è preceduta da vocale il plurale mantiene la i; quindi grattugie. Tuttavia questa i non viene pronunciata, e se nel singolare serve a indicare la pronuncia palatale di g (come in giallo) davanti ad a, nel plurale perde questa funzione perché g si trova davanti a e. Per questa ragione la i tende a scomparire dalla scrittura e ormai si ammettono entrambe le forme. Bisogna anche ricordare che la forma *grattuggia, con due g, è scorretta».
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Dissentiamo totalmente. Seguendo questo ragionamento dovremmo togliere l' h alle prime tre persone singolari e alla terza plurale del presente indicativo del verbo avere. Chi ama la lingua segua la regola e scriva grattugie. Purtroppo buona parte dei vocabolari...


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Proponiamo all'attenzione dei lessicografi un neologismo atto a indicare un'infiammazione ai denti: dentite. Esiste, è vero, il termine "odontite", ma ha tutt'altro significato. Dentite ci sembra perfetto essendo formato con il suffisso "-ite" che nel linguaggio medico vale "infiammazione". Come si ha polmonite, epatite, faringite, colite ecc. cosí si può avere benissimo "dentite".




lunedì 21 dicembre 2015

Vincere a piè zoppo

Questo modo di dire, con molta probabilità poco conosciuto, è  messo  in pratica inconsciamente. La locuzione, dunque, si adopera quando si vuole mettere in evidenza il fatto che una persona vince qualcosa con molta facilità e senza il minimo sforzo, come se in una gara podistica si arrivasse primi al traguardo pur essendo zoppi da un piede. Si usa anche, e in senso ironico, allorché si ottiene una facile vittoria contro rivali di  "poco conto"; vittoria conseguita, per tanto, grazie all'inettitudine altrui. Quando, per esempio, giocate a carte con una persona poco esperta - e di conseguenza vincete -  mettete in pratica - senza volerlo - il modo di dire in oggetto.  Ma donde viene questa locuzione? Da un vecchissimo gioco di squadra, chiamato "fare a piè zoppo", in cui ci sono inseguiti e inseguitori. Questi ultimi devono riuscire ad "acchiappare" i primi saltellando su un piede ed è evidente, quindi, che in tali condizioni è molto difficile conseguire la vittoria, però...  L'espressione viene adoperata, per tanto, in senso metaforico nella "vita di tutti i giorni" per mettere in risalto un successo conseguito senza alcuno sforzo. E visto che siamo in tema di "piedi" esaminiamo le altre locuzioni legate a "piè", cominciando da "a ogni piè sospinto", che significa "in continuazione", "in ogni occasione" la cui provenienza è intuitiva: con la medesima frequenza con cui si "sospinge" il piede in avanti per camminare; "aspettare a piè fermo", cioè non muoversi  e, metaforicamente, con coraggio, senza timore alcuno: come se si stesse a piè fermo per respingere una immaginaria carica nemica; "saltare a piè pari", vale a dire omettere qualcosa: quasi si spiccasse un salto a piè pari, cioè a piedi uniti, per atterrare al di là di un immaginario ostacolo. Ancora. "Andare a piè zoppo", con due distinti significati: fare una cosa con grande fatica, come colui che fosse costretto a intraprendere un lungo cammino con un piede dolorante e, al contrario, fare una cosa volentieri, di buon grado tanto che si farebbe anche con un piede"zoppo"; "tornare a piè zoppo", di significato lapalissiano: risultare perdenti, tornare sconfitti - sempre in senso metaforico - dopo aver dato anima e corpo per la buona riuscita di un'impresa importante. In quest'ultimo modo di dire l'immagine è quella di chi ritorna (a casa) lentamente, quasi azzoppato per le percosse ricevute (percosse morali, ovviamente).

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I responsabili del sito Treccani, a proposito del termine "lardite", non attestato nel vocabolario, scrivono:
 
Il termine mineralogico (ricalcato sul francese lardite), che veniva usato per indicare quel tipo di steatite usato dai sarti come gesso per le misurazioni, compare nel 1819 nel Dizionario portatile di geologia, litologia e mineralogia di Luigi Bossi, stampato a Milano nel 1819. Viene poi ripreso da parecchi lessicografi ottocenteschi, dal Cardinali al Tommaseo-Bellini al Fanfani. Va detto che la sua fortuna scema, non perché cessi l'uso del gesso in sartoria – anche se certo la potente diffusione dell'industria dell'abito preconfenzionato nel Novecento avrà ridotto le occasioni di adoperarlo –, ma perché, com'è naturale che sia, prevale sin dall'inizio nella lingua parlata l'uso della parola non tecnica gesso (o la polirematica gesso da sarti).
 
Non soltanto i dizionari della lingua dell'uso moderni non lemmatizzano, di solito, lardite, ma il termine non compare nella lingua dei giornali, lingua che costituisce un buon esempio di ricchezza e varietà lessicale. Per esempio, non è reperibile nell'archivio on line del quotidiano «La Stampa», che copre l'arco di tempo tra il 1867 e il 2006: forse perché nessun grande evento di cronaca si è mai svolto in una sartoria, ma forse anche a riprova che il vocabolo non è (stato) così usato e può pertanto ritenersi desueto (è disusato per l'autorevole Battaglia), ancorché affascinante per la storia della lingua e dei mestieri.

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Come si può sostenere la tesi secondo la quale i giornali, tutti ovviamente, costituiscono "un buon esempio di ricchezza e varietà lessicale"!? "Pietire", verbo inesistente, è un buon esempio? Gesummaria!
 
 

domenica 20 dicembre 2015

«Venderono»? Perfetto

Cortese dott. Raso,
 la seguo sempre perché da lei apprendo molte cose.  Le scrivo per un chiarimento di carattere grammaticale. La docente di lettere ha dato un'insufficienza a un componimento di mia figlia (III media) perché aveva scritto che  "alcuni miei parenti venderono la casa senza interpellare la mia famiglia". L'insegnante sostiene che "venderono" non esiste, la sola forma corretta è "vendettero".  È proprio così? "Venderono" è voce errata? Se, invece, si può adoperare tranquillamente - come mi sembra - quali argomentazioni posso portare a sostegno della mia tesi per convincere l'insegnante di avere sbagliato? Grazie infinite e complimenti per il suo lodevole impegno. 
Raimondo B. 
Sesto Fiorentino
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Gentile amico, quando mi arrivano lettere del suo tenore cado in depressione perché testimoniano la decadenza "docenziale" della scuola italiana. Consigli all'insegnante della sua figliola di ripassare (ammesso che l'abbia studiata) la grammatica italiana, nella fattispecie le coniugazioni dei verbi. Dica a questa luminare della lingua che la terza persona plurale del passato remoto dei verbi appartenenti alla II coniugazione dispone di due desinenze: "-ettero" e "-erono".  Si può dire, per esempio, tanto "credettero" quanto "crederono"; "temerono" quanto "temettero". "Venderono", quindi, non fa a pugni con la grammatica italiana anche se per la professora (sic!)  può essere un pugno inferto al suo "stomaco linguistico".

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La parola che proponiamo oggi (non attestata nei vocabolari dell'uso) è: esodiario. Aggettivo sostantivato: attore che alla fine del dramma recita (recitava) qualcosa di divertente per... sdrammatizzare. Per l'origine si clicchi qui.

sabato 19 dicembre 2015

Esser doppio come le cipolle

Ecco un modo di dire - forse poco conosciuto - che rende magistralmente l'idea di una persona falsa, ipocrita. Si dice, in particolare, di una persona che non fa mai capire ciò che veramente pensa, che nasconde  sempre  qualcosa. L'origine della locuzione - adoperata in senso figurato, ovviamente - ci sembra quanto mai intuitiva: l'ipocrita* viene paragonato alla cipolla che si compone di molteplici stati sovrapposti. E a proposito di cipolla, non possiamo  non accennare a un altro modo di dire, anche questo poco conosciuto,  ma "messo in pratica" da tutti durante il periodo invernale: "coperto come una cipolla". Si dice cosí, infatti, di colui (o colei) che per ripararsi dal freddo indossa molti indumenti, uno sull'altro. In questo caso, ci sembra evidente, gli indumenti vengono paragonati ai vari strati della cipolla.

* A proposito dell'uso corretto di questo termine, riscontriamo ancora una discrepanza tra il vocabolario Gabrielli (in Rete) e il "Dizionario Linguistico Moderno" dello stesso Gabrielli.

Il vocabolario:
[i-pò-cri-ta] (pl. m. -ti, f. -te) A agg. Che simula virtù o sentimenti che non ha, per ingannare, lusingare: un uomo, una donna i. || estens. Che è mosso da ipocrisia; che rivela ipocrisia: atto i.; sorrisi ipocriti B s.m. e f. 1 Persona ipocrita: sei un i. 2 ant. Istrione, commediante
dim. ipocritìno; ipocritùccio || accr. ipocritóne || pegg. ipocritàccio.

Il "Dizionario Linguistico Moderno" (pag. 922) fa un distinguo: ipocrita, sostantivo maschile e femminile (con i rispettivi plurali); ipocrito, aggettivo ("affetto ipocrito", "fedeltà ipocrita", "discorsi ipocriti", "lacrime ipocrite"). Personalmente seguiamo ciò che dice il "Dizionario", non il vocabolario.
Sembra che il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, si avvicini alle posizioni del Gabrielli espresse nel suo dizionario.

venerdì 18 dicembre 2015

Vocabolario Gabrielli: l'irruenza dei revisori

Ogni volta che consultiamo il vocabolario Gabrielli (in Rete) scopriamo che i "revisionisti" lo hanno sempre piú danneggiato. L'ultimo danno che abbiamo scoperto riguarda l'aggettivo "irruente". Per coloro che hanno rivisto il vocabolario la forma "irruento" è  corretta al pari di irruente. Il Maestro, invece, nel suo "Il museo degli errori", condanna, senza appello, "irruento". Ecco il vocabolario in Rete:  [ir-ruèn-te] o irruento
agg. (pl. -ti)
1 Che entra con impeto; irrompente: la piazza fu invasa da una folla i.
2 fig. Impetuoso, violento, veemente: uomo impulsivo e i.; carattere i.; lo investì con irruenti invettive
SIN. aggressivo, impulsivo

 

Ecco, invece, ciò che scrive il linguista nel suo manualetto: SI DICE: IRRUENTE


NON SI DICE: IRRUENTO, IRRUENTA


Si dice “una folla irruenta” o “una folla irruente”? “Parlava con tono irruento” o “con tono irruente”? Si dice folla irruente, tono irruente, per la semplice ragione che un maschile singolare “irruento” e un femminile “irruenta”, coi rispettivi plurali “irruenti” e “irruente”, nella lingua italiana non esistono. Esiste solo la forma irruente, unica per il maschile e il femminile, e di conseguenza un solo plurale, irruenti. Volete una spiegazione più convincente? Eccola: irruente è un aggettivo modellato sul latino irruentem, caso accusativo del participio presente del verbo irrùere, correre contro, irrompere.
Nota bene: nell’etimologia latina di nomi e aggettivi quasi sempre dobbiamo risalire al caso accusativo: per chi conosca un po’ di analisi logica, è il caso del complemento oggetto. Esempio: vedente deriva da videntem, participio presente accusativo di video; amante viene da amantem, participio presente accusativo di amo eccetera.
Tornando a irruente, in italiano segue la forma di qualsiasi participio presente della seconda coniugazione come ad esempio, corrente, vincente, che nessuno penserebbe mai di mutare in “corrento”, “vincento”.

Dobbiamo dire, per onestà, che anche altri vocabolari ammettono la forma "errata" irruento. Chi ama il bel parlare e il bello scrivere...

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La parola proposta è: bichiacchia. Sostantivo femminile: fandonia, panzana, favola e simili 

giovedì 17 dicembre 2015

Divagazioni

Gentilissimo dott. Raso,
 mi permetta di esprimerle tutta la mia riconoscenza. Sono uno studente di scuola media superiore (geometri), le sue "noterelle" mi sono state e mi sono di aiuto per i componimenti in classe. Ha ragione, spesso le grammatiche non trattano come dovrebbero alcuni argomenti grammaticali. Le scrivo per una curiosità: c'è un legame linguistico tra il "mandarino", frutto, e il "mandarino"... cinese?
 Grato se avrò l'onore di una sua cortese risposta.
 Teo F.
Parma
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Caro amico, clicchi su questo collegamento e vedrà appagata la sua curiosità.

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La parola proposta oggi è: traneglio. Sostantivo maschile, vale "capriccio" e simili.

martedì 15 dicembre 2015

Dal Campidoglio alla rupe Tarpea

Il modo di dire che avete appena letto è affine all'altro - indubbiamente piú conosciuto - "dalle stelle alle stalle" il cui significato è intuitivo: dalla gloria alla rovina. L'espressione si riferisce a una persona che, dopo aver goduto del massimo successo e dei massimi onori, cade in disgrazia. Nel Campidoglio - come si sa - venivano invitati i condottieri  vittoriosi per ricevere gli onori e, in tempi un po' meno remoti dell'antica Roma, vi venivano "incoronati" con l'alloro i poeti. Salire sul colle capitolino era, insomma, il massimo dell'onore che si potesse ricevere. Dalla rupe Tarpea che scendeva a picco dal Campidoglio venivano gettati, invece - sempre nell'antica Roma - i figli gracili o indesiderati e i traditori. Con il trascorrere del tempo, e in senso figurato, la locuzione ha acquisito il significato su detto.

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Ci spiace ma non possiamo non segnalare una "perla" del vocabolario Devoto-Oli. Per questo dizionario areoporto è corretto al pari di aeroporto. Il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, è chiarissimo in proposito: solo aeroporto è grafia corretta. Il motivo? Tutti i sostantivi con il prefisso aer(o)- non prendono mai la "e", quindi non aerEonautica ma: aeronautica, aerostazione, aerare ecc. Si veda anche qui.

lunedì 14 dicembre 2015

Essere all'insalata

Non c'è lettore di questo portale che non abbia provato su di sé - senza saperlo - questa locuzione dal "sapore" un po' antico ma sempre attuale. Che cosa sta a significare, dunque, "essere all'insalata"? Essere all'inizio di qualcosa, di qualche azione:  degli studi, della professione, della carriera e via dicendo. E l'insalata cosa ha che fare con il modo di dire? Diamo la "parola", per questo, a Ludovico Passarini, il re dei modi di dire. «Non ricordo dove, ma so di aver detto che nell'uso dicesi "nescio" colui, che per pigrizia e un po' per testardaggine s'è attardato ad intraprendere un'opera e piú tardo a proseguirla. Di lui parlando, si direbbe proverbialmente ch'è sempre all'insalata. E che cosa vuol dire "essere all'insalata"? Vuol dire essere al cominciamento di qualche azione, presa la metafora dai pranzi, che una volta avevano principio dall'insalata. Ora l'insalata propriamente detta si mangia  alla fine con l'arrosto; e in principio si dà il salato, prosciutto o salame. I gusti variano, e "de gustibus non est disputandum", aforisma inconcusso, e universalmente accettato. Il motto però è rimasto nell'originale suo significato (...). Consideriamo ancora come van le cose di questo mondo. Ciò che fu in capo di lista l'umana volubilità volle trasferirlo alla coda! E passi dell'insalata: ma quante altre cose che un dí  furono in onore e pregiate ora son ciarpe vecchie affastellate nelle soffitte? E non discostandoci dal soggetto nostro che è letterario, dimmi o lettore, non t'è venuto già in mente che ora s'insegna a' giovani d'ambo i sessi  la lingua francese, o forse la tedesca, e poi l'inglese, e la lingua "nazionale" in ultimo al pari dell'insalata ne' pranzi odierni?  (...)». C'è qualcuno, tra i nostri cortesi lettori, che in tutta coscienza possa dire di non ritenere attuale l'ultima considerazione di Ludovico Passarini? Oggi ci sono giovani che sanno tutto della lingua d'Albione, mentre sono completamente digiuni della lingua di Dante. Costoro sono sempre all'insalata per quanto attiene alla lingua madre.

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Le camice o le camicie?

Alcuni vocabolari - e tra questi il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia - ritengono corretta la forma "camice" quale plurale di camicia: la camicia/le camice.  È bene non seguirli. Il plurale corretto  è  camicie. Per due motivi.  Camice (senza la 'i') potrebbe confondersi con il maschile camice. Il secondo motivo, piú importante, è di ordine grammaticale e riguarda la formazione del plurale dei sostantivi in "-cia". Se nel singolare i nomi che finiscono in "-cia" hanno una vocale davanti alla "c", ed è il caso di camicia, faranno il plurale in "-cie": camicia/camicie; se davanti alla "c" c'è, invece, una consonante il plurale sarà in "-ce" (senza la "i"): lancia/lance. Per un parere piú autorevole si clicchi qui. Si veda anche questo collegamento.

domenica 13 dicembre 2015

Un punto di rifolciamento

Chissà perché i lessicografi hanno relegato nella "soffitta della lingua" molte parole auliche preferendo mettere a lemma le corrispondenti "popolari". Tra i termini aulici che ci piacerebbe fossero "rilemmatizzati" segnaliamo rifolciamento, sostantivo maschile che sta per "appoggio", "sostegno". Non vi sembra un vocabolo più nobile?

sabato 12 dicembre 2015

La cerbonèca



La parola proposta oggi è presa dal Treccani: cerbonèca. Sostantivo femminile con il quale si indica un vino di pessima qualità. Per il Treccani l'etimo è incerto; non lo è per il Pianigiani. Si veda anche qui.

venerdì 11 dicembre 2015

C'è sterzare e... sterzare

Forse pochi sanno che il verbo sterzare ha due distinti significati: voltare, girare e piegare, dilatare, forgiare, sfoltire. È intransitivo, e con l'ausiliare avere, allorché sta per "voltare": l'automobilista ha sterzato a destra per non investire un ciclista; è transitivo, e può avere entrambi gli ausiliari (essere e avere), quando è adoperato nell'accezione di "sfoltire, piegare, dilatare" ecc.: il giardiniere ha sterzato tutte le piante; gli alberi sono stati sterzati. A questo punto sorge spontanea una domanda, come usa dire: perché il vocabolario Treccani (consultabile in Rete) attesta il verbo sterzare nell'accezione di "girare", contrariamente agli altri dizionari consultati, transitivo? Dal Treccani: «sterzare2 v. tr. [der. di sterzo2] (io stèrzo, ecc.). – 1. Nei veicoli stradali, far assumere alle ruote direttrici una diversa direzione manovrando lo sterzo; per lo più con uso assol.: s. a sinistra, a destra; sterzò bruscamente per non investire un pedone». Fiduciosi, attendiamo una cortese risposta.

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La parola proposta è: acciappinare. Verbo che vale "adirarsi" e simili.

mercoledì 9 dicembre 2015

Far la barba al palo

I lettori sportivi, in particolare i "calciofili", dovrebbero conoscere questo modo di dire - ancora in uso, sia ben chiaro -  che in senso figurato significa trovarsi al limite di una situazione difficile e che può avere pericolose conseguenze, con il rischio di superare la "barriera della legalità". L'espressione si fa risalire al gergo del gioco del calcio con la quale si indica, comunemente,  il passaggio della palla rasente il palo delle porte con il rischio che vi possa entrare compromettendo, cosí, l'esito della partita. La locuzione, c'è da dire, ha anche un'altra origine, e piú antica, che ci riporta al mondo contadino.  Con quest'espressione - nel gergo agricolo - si indicava il tentativo di impossessarsi del terreno altrui spostando di poco, ma in continuazione, i vari paletti che delimitavano i confini dei diversi appezzamenti.

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Onoreficenza? Per carità, onorificenza perché proviene dal latino honorificentia. Alcuni scrittori, però, per snobismo o per ignoranza, adoperano la grafia errata. Chi ama scrivere correttamente...

martedì 8 dicembre 2015

L'abusione



La parola del giorno (di ieri) segnalata da "unaparolaalgiorno.it" - catacresi - ci ha richiamato alla mente un nostro articolo che riproponiamo all'attenzione dei nostri cortesi amici.

lunedì 7 dicembre 2015

Le "perle" dei vocabolari


Ci duole "sparlare", di tanto in tanto, di alcuni vocabolari che danno "informazioni linguistiche" distorte confondendo le idee alle persone che li consultano: nella fattispecie il dizionario Sabatini Coletti (consultabile in Rete). Questo vocabolario (non è l'unico, comunque) scrive che "intravvedere" (con due "v") è voce corretta al pari di "intravedere" (con una sola "v"):

intravedere

[in-tra-ve-dé-re] o intravvedere v. (irr.: coniug. come vedere)

  • v.tr. [sogg-v-arg]
  • 1 Vedere qlcu. o qlco. in modo confuso SIN scorgere: i. la cima della montagna
  • 2 fig. Intuire, prevedere qlco.: i. la verità sull'accaduto
  • • intravedersi
  • v.rifl. [sogg-v] Vedersi di sfuggita
  • • a. 1869

Non è esatto. Il Sandron scrive che (intravvedere) è "meno bene" e il DOP (Dizionario di Ortografia e di Pronunzia") "meno comune". Il prefisso "intra-" non richiede, infatti, il raddoppiamento della consonante che segue. La grafia da seguire, per tanto, è quella con una sola "v": intravedere. Nel "Museo degli errori" (ritoccato dai revisori, ma fortunatamente senza "danni", al contrario del vocabolario) di Aldo Gabrielli, possiamo leggere:
«Questo verbo si vede scritto ora con una sola v, ora con due: “Non riuscii a intravederlo”, “L’ho appena intravvisto”. Qual è la forma corretta? Sempre e soltanto con una v: intravedere, intravisto. Molti prefissi, è vero, richiedono, dopo di loro, il raddoppiamento, come fra, sopra, contra eccetera, e abbiamo infatti frapporre, soprassedere, contraddire. Ma intra è proprio uno di quei prefissi che non richiede il raddoppiamento; quindi si dice e si scrive intramezzare, intramettere, intraprendere e di conseguenza anche intravedere, intravisto. E perché allora intravvenire? Perché il verbo non è un composto di intra e venire ma di intra e avvenire, che le due v le possiede di suo; e non è neppure eccezione intrattenere, che è composto non già di intra e tenere ma di in e trattenere».

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La parola proposta da questo portale: mucchero. Acqua profumata (per infusione di viole e rose).