sabato 4 dicembre 2010

Stranezze linguistiche


In lingua italiana - crediamo lo sappiano tutti - non è possibile stabilire una regola generale per distinguere il genere “naturale” e quello “grammaticale” dei sostantivi. Ciò è dimostrabile attraverso numerosi esempi. Nel nostro idioma è infatti facile trovare sostantivi riferiti a maschi ma che sotto il profilo grammaticale sono femminili: spia; guardia; guida; sentinella. E viceversa, sostantivi grammaticalmente maschili riferiti a donne come, per esempio, soprano e contralto. Le cose si ingarbugliano maggiormente quando, passando dalle persone alle cose, ci imbattiamo in sostantivi che secondo il genere “naturale” debbono essere neutri, mentre nella lingua di Dante sono ora di genere maschile ora di genere femminile. Perché, per esempio, la guerra è femminile mentre il conflitto è maschile? Ancora. Perché il coraggio è maschile mentre il suo contrario, la paura, è femminile? Per quale motivo l’arte è femminile e l’artificio è maschile? Una spiegazione per ognuna di queste stranezze ci sarebbe, anzi c’è, ed è di carattere prettamente etimologico-grammaticale, non di certo naturale. Queste piccole noterelle per mettere in evidenza - come accennato all’inizio - il fatto che non è possibile stabilire dei criteri logici generalizzabili per la classificazione dei sostantivi nel genere femminile o maschile. Solo un buon vocabolario può venirci in aiuto.

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Sulla “i” e sulla “u” l’accento com’è?

Dalla rubrica di lingua del quotidiano la Repubblica in rete:
Marco scrive:
3 dicembre 2010 alle 18:36
http://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Oracolo#Pi.C3.BA_o_pi.C3.B9.3F Qui è in corso una discussione riguardo l’accentazione della parola “più”: è più corretto l’accento acuto o quello grave? Personalmente sapevo che si utilizza usualmente quello grave, ma che in realtà sarebbe più corretto l’accento acuto.

linguista scrive:
3 dicembre 2010 alle 18:37
L’accentazione grave o acuta in italiano ha valore fonematico, cioè distingue parole diverse, solo per la è/é e la ò/ó toniche: pésca (attività)/pèsca (frutto); bótte (contenitore)/bòtte (percosse). Peraltro è convenzione grafica non indicare alcun accento a meno che la vocale non si trovi alla fine della parola. La i e la u sono le vocali più chiuse della gamma in italiano, per cui andrebbero scritte sempre con l’accento acuto in fine di parola, ma visto che la distinzione acuto/grave non ha mai valore fonematico per queste due vocali (come neanche per la a), l’unica necessità resta di indicare la posizione finale dell’accento, per cui si è generalizzato l’uso grafico dell’accento grave, che è il più comune.
Fabio Ruggiano
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L’uso generalizzato dell’accento grave sulle vocali “i” e “u”, in luogo di quello corretto acuto (í, ú) - a nostro modesto avviso - è dovuto al fatto che le tastiere delle macchine per scrivere e quelle del computiere non hanno i tasti delle vocali i e u con l’accento acuto. Chi ama il bello scrivere, però, ed usa il computiere, deve “attrezzarsi” con i caratteri speciali e mettere l’accento “legittimo” (acuto) sulla “i” e sulla “u”, come raccomandano le grammatiche con la “G” maiuscola e il fonetista Luciano Canepàri.
PS. Chi ha Word nel computiere può ottenere la i acuta (í) tenendo premuto il tasto "alt" e digitando sul tabellino numerico, a destra, "161"; per la u acuta (ú) digitare "163".
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Ecco il presente indicativo e il presente congiuntivo del verbo “seppellire” secondo il “coniugatore” della “Scuola Elettrica” (
www.scuolaelettrica.it)
io seppello
tu seppelli
egli seppelle
noi seppelliamo
voi seppellite
essi seppellono

io seppella
tu seppella
egli seppella
noi seppelliamo
voi seppelliate
essi seppellano

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